Angoli acuti, cemento sbiancato dal sole, sagome monolitiche. Alcuni lo hanno criticato come freddo e senz’anima, persino come un inquietante richiamo ai regimi totalitari; altri ne hanno lodato il crudo utilitarismo e l’approccio tecnologico. Il Brutalismo rimane comunque un caso unico di architettura del dopoguerra in Europa (e successivamente oltreoceano).
Ascesa e declino
Molti indicano il Brutalismo come un esempio di tendenze e gusti che si esauriscono o cambiano repentinamente: quello che nel panorama architettonico del dopoguerra era celebrato come il logico punto di arrivo del “form follows function” (la forma segue la funzione), ha finito per essere considerato, negli anni Settanta, rozzo e persino di cattivo gusto, per poi vedere un modesto revival negli ultimi anni.
Sebbene il termine ufficiale sia stato coniato nel 1953 da Alison Smithson, le origini del Brutalismo risalgono agli anni Quaranta, e sono osservabili per la prima volta nelle opere di Le Corbusier.
L’architetto svizzero segna l’inizio del movimento con l’Unité d’Habitation di Marsiglia, il suo primo progetto dopo un intervallo di dieci anni (compresi gli anni della Seconda Guerra Mondiale), collaborando con il pittore-architetto Nadir Afonso. Concepito come un’opzione abitativa a basso costo per le famiglie della classe operaia, il progetto, completato nel 1952, era un complesso mastodontico, un edificio enorme con una capacità abitativa di 1600 persone; la sua struttura in cemento – un materiale che Le Corbusier amava molto – e l’assenza di elementi decorativi, per non parlare delle proporzioni massicce, avrebbero costituito il quadro di riferimento per tutti i progetti futuri dello stesso genere.
Il nome stesso di “Brutalismo” deriva dalle dichiarazioni di Le Corbusier, che collegava il suo lavoro all’Art Brut e al termine “betòn brut”, che in francese significa “cemento grezzo”.
[…] se c’è un’unica formula verbale che ha reso il concetto di Brutalismo ammissibile nella maggior parte delle lingue occidentali del mondo, è che Le Corbusier stesso ha descritto quell’opera di cemento come “béton-brut”
Rayner Banham, estratto dal suo libro del 1966 “The New Brutalism: Ethic or Aesthetic?”, sull’approccio ancora frammentario all’architettura europea degli ultimi decenni.
Un altro importante “precursore” del movimento in generale sarà definito dall’architetto svedese Hans Asplund che, esaminando Villa Göth, una casa moderna in mattoni progettata negli anni Cinquanta dai colleghi Bengt Edman e Lennart Holm, la definì “Nybrutal” (Nuovo Brutale), per via delle travi a vista sopra le finestre, dei mattoni, del legno a vista e dell’abbondante cemento nudo. Il termine, e le caratteristiche stilistiche ad esso associate, sarebbero stati presto ripresi da architetti britannici in visita, con l’effetto di
[…] diffondersi a macchia d’olio, per poi essere adottato da una certa fazione di giovani architetti britannici.
Hans Asplund
L’architettura in “bèton brut”, che ora va sotto il nome di “Nuovo Brutalismo“, vedrà il suo vero inizio per mano degli inglesi Alison e Peter Smithson, che nel 1953 utilizzeranno il termine per descrivere il progetto incompleto di un magazzino a Soho, attribuendo al suo impianto in cemento, legno e mattoni il titolo di “primo esponente del Nuovo Brutalismo”.
Da qui, a sua volta, è nato il loro approccio al genere: il progetto per una scuola a Hunstaton, nel Norfolk, completato nel 1954, portava gli stessi segni intransigenti del “Nybrutalism”, con la sua audace esibizione di acciaio e mattoni, seguito a breve distanza dalla Sugden House, situata a Watford, nel 1955. Queste realizzazioni sono state catalogate e circoscritte dallo storico dell’architettura Reyner Banham, che ha recensito gli edifici dei due architetti, paragonandoli ai precedenti approcci del “bèton brut” e definendoli come il “riferimento con cui l’architettura del Nuovo Brutalismo può essere definita”, definendo il loro approccio sia etico che estetico.
The Smithsons would further pursue their Brutalist ambition throughout the 1960s, as the style quickly gained popularity in the rest of England, Northern Europe, but America and Canada as well, often drawing inspiration by local influences. Eventually, the two British architects would go on to experiment with concrete patterns, size scaling, and studies over shape and mass. In 1972, they realized the East London’s Robin Hood Gardens council housing complex, a mastodonthic complex echoing Le Corbusier’s and’s exploits, built from precast concrete slabs and planned around the Smithsons’ ideals for ideal living. Sadly, it never quite lived up to its goals, and eventually, by 2017, the eastern block was demolished as part of a refurbishment plan.
Gli Smithsons perseguiranno ulteriormente le loro ambizioni brutaliste per tutti gli anni Sessanta, quando lo stile guadagnerà rapidamente popolarità nel resto dell’Inghilterra, nel Nord Europa, ma anche in America e in Canada, spesso traendo ispirazione da influenze locali. Alla fine, i due architetti britannici sperimentarono modelli di cemento, ridimensionamento delle dimensioni e studi sulla forma e sulla massa. Nel 1972 realizzarono il complesso di case popolari Robin Hood Gardens, nell’est di Londra, un complesso mastodontico che riecheggiava le imprese di Le Corbusier e Van Der Rohe, costruito con lastre di cemento prefabbricate e progettato intorno agli ideali di vita ideale degli Smithsons. Purtroppo non è mai stato all’altezza dei suoi obiettivi e alla fine, nel 2017, il blocco orientale è stato demolito nell’ambito di un piano di ristrutturazione.
In questo edificio è nostra intenzione lasciare la struttura interamente a vista, senza finiture interne, laddove possibile.
Alison Smithson, sulla filosofia del New Brutalism sua e del fratello.
Durante gli anni ’50 e ’60, il Brutalismo guadagnò rapidamente popolarità, grazie alla fiduciosa austerità di quei decenni: università, edifici governativi, megablocchi di appartamenti di grandi dimensioni sfruttavano tutti questa nuova corrente, facendo sì che lo stile venisse associato a un’edilizia residenziale moderna e progressista, definita dagli urbanisti come “strade nel cielo”. Il Brutalismo iniziò a consolidarsi anche nel resto del mondo, dimostrandosi estremamente popolare in Stati a guida sovietica come la Bulgaria o la Jugoslavia, dove venne utilizzato sia come simbolo della presunta potenza e forza dello Stato, sia come soluzione agli alloggi prefabbricati per grandi volumi. Molte università americane iniziarono a incorporare edifici di tipo brutalista nella loro architettura e lo stile si affermò anche in Giappone e in Sud America.
Tuttavia, negli anni Ottanta, il Brutalismo cominciò a perdere rapidamente il favore del pubblico; i suoi critici erano ormai molti e molto accesi. Il calcestruzzo sovrabbondante utilizzato nei suoi edifici non invecchiava bene, mostrando spesso grana, degrado e danni, soprattutto a causa del clima marittimo europeo; anche il ferro dei componenti esposti era soggetto ad arrugginire, per non parlare del fatto che le facciate estese e imponenti, costituite solo da cemento grezzo grigio e decadente, venivano spesso colorate e vandalizzate con graffiti.
L’estetica in sé non piaceva a molti: l’aspetto squadrato e grezzo degli edifici megalitici richiamava alla mente il freddo totalitarismo, la sua natura di grattacielo spesso associata alla criminalità, alla deprivazione sociale e al degrado urbano che invadeva il paesaggio, portando alla demolizione di molti edifici brutalisti per pura riprovazione. Critici come Anthony Daniels o Theodore Dalrymple sono stati particolarmente severi, paragonando i blocchi di cemento a incubi dittatoriali, una “deformità spirituale, intellettuale e morale”. Le parole usate per descriverli andavano da “freddo”, “disumano”, “orrendo” e “mostruoso”, all’affermazione che il calcestruzzo “non invecchia con grazia, ma si sbriciola, si macchia e decade”, fino a incolpare Le Corbusier per l’amore degli architetti per il calcestruzzo, affermando che “un solo suo edificio, o uno ispirato da lui, potrebbe rovinare l’armonia di un intero paesaggio urbano”.
Con una diffusa impopolarità tra il pubblico – persino il Principe del Wales li derideva come “mucchi di cemento” – il Brutalismo è rapidamente svanito – o, per essere più precisi, è stato demolito – nell’oscurità, e solo recentemente ha visto alcuni sforzi per preservare la sua costruzione e un moderato interesse, grazie all’avvento di stili come il decostruttivismo il postmodernismo, con qualità e principi simili.
Bellezza spoglia
Rientrando nella filosofia pragmatica modernista dell’architettura e del design, la caratteristica più evidente del Brutalismo, come suggerisce il nome stesso, è il modo quasi rozzo in cui gli edifici sono assemblati per aderire perfettamente all’approccio “la forma segue la funzione”. I materiali – tutti ipermoderni, freddi e asettici: calcestruzzo, vetro, mattoni, acciaio, pietra grezza – sono impiegati in blocchi massicci e monolitici, seguendo una geometria rigida, con superfici grezze e non rifinite, forme strane e spigolose, linee rette, finestre piccole e disposizione modulare; le compenetrazioni sono state quasi del tutto evitate, a favore di lasciare in bella vista meccanismi, componenti e impianti, il funzionamento interno degli edifici ribaltato nel rivestimento delle pareti: Il miglior esempio è il Municipio di Boston, progettato nel 1962, le cui porzioni dell’edificio, sorprendentemente diverse e sporgenti, mostravano lo scopo delle stanze retrostanti, come l’ufficio del sindaco o le sale del consiglio comunale. Da un altro punto di vista, il progetto della Hunstanton School prevedeva di collocare il serbatoio dell’acqua della struttura, normalmente un elemento di servizio nascosto, in una torre prominente e visibile; pertanto, anziché essere nascosti nei muri, i servizi idrici ed elettrici di Hunstanton venivano forniti attraverso tubi e condotti facilmente visibili. Questo approccio, spesso accusato di essere disumano, era dovuto al desiderio di lasciare che i materiali “parlassero” da soli, mettendo in primo piano la “semplicità” e l'”onestà”, in modo da accogliere al meglio gli abitanti.
Il Brutalismo non si preoccupa del materiale in quanto tale, ma piuttosto della qualità del materiale […] il vedere i materiali per quello che erano: la legnosità del legno, la sabbiosità della sabbia.
Peter Smithson
Un analogo rimprovero alle critiche più comuni, da parte dell’architetto John Voelcker, spiega il Nuovo Brutalismo come qualcosa che
[…] non può essere compreso attraverso l’analisi stilistica, anche se un giorno potrebbe emergere uno stile comprensibile […] [è] un’etica, non un’estetica
John Voelcker
Opere del Brutalismo
Nonostante sia durato al massimo qualche decennio, il Brutalismo ha lasciato dietro di sé un invidiabile assortimento di architetture ed edifici, la maggior parte dei quali situati in Inghilterra, Canada e nei territori dell’ex URSS. Tra questi, possiamo citare:
Il Barbican Centre and Estate, a Londra, un gigante sorto dalle ceneri e dai crateri dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale quasi come un atto di sfida, le sue dimensioni maestose e intimidatorie lo hanno trasformato, da “edificio più brutto di Londra” votato nel 2003, in un luogo amato dai cittadini.
La Cattedrale di Santa Maria dell’Assunzione, situata a San Francisco, è stata realizzata dal maestro italiano Pier Luigi Nervi, la cui esperienza con il calcestruzzo ha spinto lo spazio interno al limite, introducendo una dimensione drammatica, quasi logica, che fa da sfondo a una chiesa per un Dio della modernità, dove il marmo e le vetrate hanno lasciato il posto al cemento e alle luci elettriche.
Londra, nodo e luogo di nascita del diffuso Nuovo Brutalismo, ha fatto leva sulla necessità di alloggi a basso costo – a causa dei danni della guerra – e di torri alte e in cemento armato: il modo più efficiente era quello di costruire torri alte e massicce. Come il Barbican, anche la Trellick Tower, un tempo vituperata, è diventata oggi un complesso residenziale molto popolare; il suo architetto, Ernő Goldfinger, si diceva fosse una presenza così tirannica in cantiere – e le sue creazioni così minacciose e poco attraenti – che lo scrittore di James Bond, Ian Fleming, gli diede il nome di uno dei suoi cattivi più famigerati (l’omonimo Goldfinger, presente nell’omonimo romanzo e nella successiva trasposizione cinematografica).
Un’aggiunta unica e moderna al panorama del Brutalismo, questa creazione monumentale evita le linee squadrate e frastagliate tipiche del brutalismo della metà del XX secolo; la Collina del Buddha (Hill of the Buddha )è una reinterpretazione moderna del genere, che si fonde con il paesaggio circostante – lasciando che la neve e i fiori si aggiungano alla suggestiva maestosità della gigantesca statua – e lascia che il cemento sia ancora il protagonista indiscusso; il complesso può essere attraversato per mezzo di passerelle e tunnel molto semplici, di stampo classico Brutalista.
Il Met Breuer è la perfetta espressione del famoso esponente del Bauhaus Marcel Breuer; già noto per i suoi mobili in acciaio tubolare, il massiccio ziqqurat rovesciato che costituisce il Met Breuer – destinato a ospitare il Whitney Museum of American Art – è stato citato, fin dalla sua creazione nel 1966, come una delle migliori opere di Breuer e un esempio definitivo del movimento brutalista; nonostante tutti i capolavori che hanno varcato le sue porte, l’edificio stesso continua a essere la sua stella, e uno dei più grandi edifici d’avanguardia di Manhattan.
Fonti:
https://www.designingbuildings.co.uk/wiki/Brutalism
https://www.domusweb.it/it/movimenti/brutalismo.html
https://www.architecture.com/explore-architecture/brutalism
https://en.wikipedia.org/wiki/Brutalist_architecture
https://www.gq.com/story/9-brutalist-wonders-of-the-architecture-world